PRESENT TENSE
di Lorenzo Castore (2015)

Queste fotografie sono la mia educazione sentimentale, un campo di battaglia, fonti di calore, la definizione di un territorio – non solo geografico. L’origine semi-cosciente di questo corpo di lavoro risale al 1993, quando ho scattato la mia prima fotografia ‘buona’. La seconda è del 1994 (ma l’ho capito anni dopo) e la seguente è del 1997, in India, che è stato un viaggio-spartiacque, come quando da bambini si cresce e capita di fare tanti centimetri tutti in una volta. Nel 1999 – a venticinque anni – ho cominciato la vita vera, indipendente, ho preso la mia direzione con decisione ma trattenendo il fiato per il senso di vuoto e di incertezza che sentivo allargarsi sotto di me. Faceva paura ma era bello. Conclusi i miei studi universitari sono partito per il Kosovo per fotografare una guerra insensata che mi aveva colpito perché geograficamente prossima e tra vicini di casa. Oltre a questo, per mettermi alla prova e per cercare di capire cosa fare di questa vita non solo in teoria ma sporcandomi le mani. Là il senso di frustrazione per la percezione dell’impossibilità di rendere il mondo migliore o più informato e una violenza diffusa tra tutte le parti in causa mi ha spinto a decidere di non occuparmi più di fatti attuali (dei quali a caldo non riuscivo a capire niente), almeno non fino a quando avessi capito meglio chi ero io e da dove veniva la prepotente voglia di auto-affermazione e di violenza (anche psicologica, privata, impercettibile, di tutti i giorni) che mi sembrava di veder serpeggiare ovunque e che anche il mio cuore conosceva. Allora sono andato dove non succedeva più niente ma dove era successo tanto per la Storia che ci portiamo tutti sulle spalle: sono arrivato in Polonia, a Gliwice, luogo dell’attacco nazista alla stazione radio che ha fatto da detonatore allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Nel sud della Polonia è iniziata la Seconda Guerra Mondiale, è esistito Auschwitz e c’è stata una grande concentrazione di miniere di carbone. Ce ne sono ancora, ma tendono a scomparire. La figura del minatore ha sempre esercitato su di me un fascino fantastico, mitologico: nel mio immaginario è l’Uomo, quello vero, l’individuo che combatte la natura nel buio a contatto con altri uomini con cui condivide paura e fatica per poi tornare alla luce. Anche di uomini così ce ne sono ancora, ma tendono a scomparire. Ho cominciato tutto questo per guardare dentro l’orrore e per cercare il minatore, per capire chi ero io tra questi estremi e come me la sarei cavata. Da quel momento ho cominciato a fotografare tutto quello che mi riguardava, cercando di farlo nel modo più onesto e intenso possibile e arricchendo la mia visione attraverso l’esperienza vissuta, “l’altro”, i libri letti, la musica ascoltata, i film visti e così via. Ho cercato di essere aperto ed elastico per non parlare solo di me ma per condividere qualcosa di tutti. Queste fotografie sono un salto nel buio: intuivo cosa volevo fare ma non sapevo come. Avanzavo, ma non sapevo dove. Rilke consiglia al giovane poeta “di avere pazienza con tutto ciò che è irrisolto e di provare ad amare le domande per se stesse”. Provo a farlo con grande fatica e tanti momenti di sconforto. Il lavoro si è sviluppato insieme a me negli anni e non è ancora concluso perché legato alla mia vita. E’ una autobiografia fotografica dove – come nelle biografie letterarie – i fatti si mischiano alle impressioni, il pensiero al sentire e al caso, la realtà al sogno e all’immaginario. Questo percorso è un’ancora di salvezza, il mio Nord, come le persone che ho incontrato, quelle che ho sfiorato e quelle che invece mi hanno accompagnato sempre, quelle che ho perso di vista e quelle che non ci sono più. Il campo d’azione è principalmente l’Europa (ma ci sono alcune fotografie scattate negli Stati Uniti e in India) e la mia esperienza che ha significato sradicamento da subito e poi tanto girovagare in cerca di una casa più interiore che reale. In aggiunta a questo, il desiderio di riuscire a dare indietro la grande quantità d’amore che in un modo o nell’altro ho avuto la fortuna di ricevere. La fotografia non mi è mai interessata di per sé ma come strumento per conoscere me stesso e gli altri e provare ad intuire l’insondabile, per stare nella realtà ma allo stesso tempo in un mondo tutto mio, per pormi e porre domande, per combattere demoni privati, per ricreare la tensione tra gli opposti che ci governano e che ad un certo punto – all’improvviso – portano ad una rivelazione. Avanzare verso di sé non è un percorso che segue una linea retta ma un continuo susseguirsi di sorprese, coincidenze, imprevisti, dubbi, misteri. La decisione di mettermi a lavorare a tutto il materiale che avevo da parte e a cui per anni ho attinto confusamente e in modo inconcludente è coincisa con la morte improvvisa del mio migliore amico che è più di un fratello per me. La sua scomparsa ha segnato una fine, un cambio radicale, una vita che non sarebbe stata più uguale a quella di prima e mi ha spinto a fare ordine in tutto quello che era stato preoccupandomi della sostanza di quello che del mio percorso volevo condividere. La tensione tra gli opposti è certamente quello che mi attrae e interessa di più, è la fonte del mistero dell’esistere e cercare di farlo nel modo più originale (non strano o forzatamente eccentrico, ma personale) possibile – e nel presente – credo sia il compito più importante, difficile, doloroso ed insieme esaltante della vita di ogni essere umano. Sicuramente della mia.