SOGNO #5
di Irene Alison

Il nostro percorso nel labirinto dell’ex Ospedale Psichiatrico Leonardo Bianchi ha avuto come traccia – indispensabile per non perdersi nella vastità di suggestioni del luogo e nella complessità di interpretazioni sul tema della follia – i versi de Il Sogno di August Strindberg, opera visionaria e sperimentale scritta dal drammaturgo svedese nel 1901. Se Il Sogno non è che un viaggio alla scoperta di un mondo altro, nel quale la protagonista si cala per comprenderne i misteri, il nostro progetto nasce allo stesso modo dal desiderio di calarci, e di comprendere nel nostro sguardo e nelle nostre parole, il mistero della città dei folli. Dietro le mura di questa città, per oltre un secolo, sono vissute migliaia di anime. Hanno varcato il portone – per non tornare più indietro – uomini e donne malati e sani, mogli ripudiate, ragazze madri, fratelli sgraditi, anziani di cui liberarsi prima del tempo. Ogni minima deviazione dalla norma, ogni individuo scomodo, ogni indesiderabile “peccatore” poteva trovare “asilo” in questo microcosmo così prossimo al mondo ma così remoto, in cui una comunità autosufficiente, formata da pazienti, medici, infermieri e suore, ha consumato il proprio quotidiano e i propri riti. Decisi a non farci stregare dall’inquietante bellezza degli spazi e per nulla interessati a una prospettiva di denuncia dei fatti, pur drammatici, che vi si sono svolti, abbiamo scelto di costruire due percorsi di racconto paralleli ma complementari, uno di visione e uno di scrittura, che si integrano a vicenda. La scelta di una corrispondenza non lineare tra testi e foto, nata dalla volontà di cercare codici nuovi per un soggetto, il manicomio, su cui si è già sedimentata un’ingombrante letteratura, apre, nelle nostre intenzioni, due prospettive differenti sullo stesso luogo mantenendo però il medesimo, precario, equilibrio tra realtà e rappresentazione. Sia il racconto per immagini – i cui protagonisti hanno reintepretato il luogo attraverso partiture fisico-emotive che partono proprio dalla traccia dell’opera di Strindberg – sia i testi, condividono dunque un approccio meta-documentario e una matrice, in un certo modo, teatrale. L’uso, nei testi, di codici tipicamente drammaturgici (la forma di monologo, le didascalie) è teso ad esaltare il valore archetipico che assumono – proprio come fanno i personaggi de Il Sogno, rappresentazioni esemplari della complessità della condizione umana – i testimoni/attori della vita nell’ospedale psichiatrico che, superando il limite della propria esperienza personale, diventano simboli. Ecco allora Il Dottore: conservatore ma di grande umanità, si batte per l’umanizzazione del manicomio ma guarda con sospetto ogni pretesa di rivoluzione. Ecco Le Due Suore: ormai anziane, sono entrate in manicomio a vent’anni senza alcuna esperienza del mondo e sono state depositarie, entro i confini dell’ospedale, di un potere di dannazione e di salvezza esercitato con spietata condiscendenza e cieca abnegazione. Ecco Il Pazzo: rinchiuso nel manicomio ancora bambino, ha vissuto gli spazi immensi del Leonardo Bianchi non solo come luogo di detenzione e orrore, ma anche territorio di incanto e di scoperta. Per ciascuno di loro, e per tutti gli altri personaggi di questa storia, gli stessi luoghi, gli stessi corridoi, padiglioni e giardini riaffiorano nella memoria visti da prospettive antitetiche. Gli stessi rituali quotidiani assumono significati differenti. Agli stessi eventi – compresa la promulgazione della legge 180, che sancì nel 1978 la chiusura dei manicomi in Italia, ponendo fine a oltre un secolo di costrizioni e di abusi, e imponendo una svolta destinata ad avere un’eco profonda in tutta la società – vengono attribuiti significati opposti: liberazione o condanna, inizio di una nuova possibilità di vita o drammatica fine di un’era. Fatti e personaggi, ne Il Sogno, si scindono, si sdoppiano, svaniscono, si sciolgono e si ricompongono, ma una coscienza – quella del sognatore – tutto vede e tutto comprende in un unico sguardo. Concedendoci la stessa libertà di chi sogna, senza mai condannare né assolvere, ma soltanto riferendo, noi abbiamo disegnato, su una base minima di realtà, motivi nuovi: un misto di ricordi, esperienze, invenzioni e improvvisazioni.