ULTIMO DOMICILIO CONOSCIUTO
di Laura Serani (2015)

Albums di famiglia in tre dimensioni, le case raccontano storie e segreti : i quadri alle pareti, le fotografie, gli oggetti sul como’ e i libri nella biblioteca, in risonanza tra loro, riflettono i desideri e le aspirazioni, gli affetti e i ricordi, la personalità di chi le abita, spesso più dei segni su un volto, più di uno sguardo.

Lorenzo Castore che nei suoi ritratti riesce a esprimere l’anima delle persone, con Ultimo Domicilio sembra voler passare dall’altro lato dello specchio, come per cercarne l’anima altrove, salvando al tempo stesso dall’oblio case che ha amato, vissuto, frequentato o caparbiamente cercato.

Questo nuovo libro si denota nel suo percorso per uno stile narrativo più lineare, a volte quasi documentario, come ad impedire ogni divagazione. Mentre i contrasti profondi, i neri assoluti e le luci abbaglianti dei libri precedenti, lasciano lo spazio ai colori della memoria, qua e là aiutati dalla magia di Eugenia, alla ricerca di una scrittura e una luce adatta ad ogni luogo, in fase con l’atmosfera che vi regna.

Nel suo di modo trattare la questione della trasmissione e della memoria, la contaminazione tra narrazione e auto-narrazione é permanente e la realtà risulta filtrata dallo sguardo emotivo che posa sui luoghi. Castore che ama le storie della gente, che sa intuire e andare incontro ai destini più sorprendenti, sembra tessere un legame particolare anche con i luoghi che, sensibile al genius loci , sa ascoltare.

Le case sono delle boite à musique, dei carillon di suoni familiari, Castore ne racconta in immagini le vibrazioni e persino i silenzi, quello ovattato dell’appartamento familiare che assorbe passi e fruscii, quello profondo dell’antica dimora di Finale Ligure, i cigolii della scala a Casarola, i sibili delle sirene e i borbottii dei radiatori a Brooklyn.

Dalle cucine ai salotti, oggetti preziosi o di tutti i giorni portano con sé le tracce di chi li ha usati, le pentole ammaccate quanto il servizio di porcellana dei giorni di festa, i libri dalle pagine stropicciate come le poltrone dalla tappezzeria stanca. Ognuno ha la propria storia, ma non avrà più lo stesso potere di suscitare ricordi e nostalgia per occhi estranei. Col tempo i personaggi si alternano e le geometrie familiari variano, i volti cari delle foto di famiglia nel corso degli anni diventano anonimi, come quelli dei viaggiatori di un treno e ciò che gli è appartenuto ermetico, come i loro bagagli chiusi. Quando le case si disfano, chi le lascia, o chi gli succede, abbandona o porta con se, insieme alle chiavi, cio’ che ha riempito il quotidiano di una vita, un viaggio é finito e ne ricominciano altri, si sfanno e si rifanno le valigie.

Continuum dialettico tra un approccio documentario e uno narrativo, Ultimo domicilio, mi ricorda Althénopis di Fabrizia Ramondino che, oscillando tra romanzo e autobiografia, narra di case e di mare, di case dell’infanzia, di case scosse dal terremoto e di mare familiare, da lei amati e giustamente temuti.

In entrambi i libri le storie individuali di migrazioni, guerre e esili, appartengono anche alla Storia e permettono, di close up in close up, di parlare di un mondo già antico.

Con Ultimo Domicilio si penetra, come seguendo Castore in visita a dei conoscenti, in case poco ordinarie, quelle di un poeta italiano, di una pittrice francese, di un regista americano, … Case a cavallo tra due secoli, tra l’Unità d’Italia e il crollo del muro di Berlino, tra la famiglia borghese immobile e il tempo delle rotture e delle peregrinazioni. Case della resistenza e dell’esilio, politico e poetico.

O in quella della nonna, a Firenze, simbolo della famiglia e destinata a sparire, dove, come dietro le quinte, appare e scompare la figura emblematica e enigmatica del padre; poi, nella sua prima casa di giovane adulto, a Cracovia, piccolo museo di oggetti e di immagini fetiche.

Il libro si lascia leggere come una mappa, dove tanti indizi più o meno dissimulati portano a disegnare il profilo delle persone, la cui presenza immaginaria risulterà più forte della loro assenza dalle immagini.

Se realizzando il ritratto delle case, Castore realizza quello dei suoi abitanti, alla fine, quello che sembra affiorare in filigrana, é un autoritratto dell’autore alla ricerca della propria identità, passata e futura. E i frequenti simboli e riferimenti affettivi, letterari e artistici, sembrano suggerire, in una sorta di fotosintesi, il ritratto della famiglia e della casa d’elezione.

La petite recherche di Castore, come per accentuarne gli accenti proustiani, si articola in sette capitoli, uno per casa; sette come i misteri, come i cieli e i mari antichi. Per avventurarsi, protetto dal numero magico, alla ricerca dell’equilibrio perfetto, del paradiso perduto, dell’archetipo della casa ideale, dove la poesia aleggia su ogni cosa e dove rimettere insieme i tasselli del puzzle, sfare la valigia e mettere in ordine la sua collezione di muse, eroi e numi tutelari.